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Come fate a dire che l’AI è una minaccia? Per ora è un maggiordomo

Come fate a dire che l’AI è una minaccia? Per ora è un maggiordomo

Foto di Jonathan Kemper su Unsplash

intelligenza artificiale

Siamo nel mezzo della rivoluzione: l’AI non ha ancora fatto il miracolo, ma ha già tolto dalle nostre giornate una quantità di noie inenarrabili. È l’età d’oro del “non lo devo più fare”, l’outsourcing della pazienza

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Io non potrei stare meglio. Il perfezionamento delle tecnologie può anche fermarsi qui: se pure la tecnologia non progredisse oltre, sono felice così, è già il plateau della cuccagna, non serve quasi più niente. Si parla, come tutti ultimamente, di AI. Al momento sulla faccenda delle funzioni integrate di intelligenza artificiale – che ormai sono dappertutto, come le gramigne, da Google a Whatsapp – ci si divide in tre grandi gruppi d’opinione: 1) Il convinto entusiasta: quello che attaccherebbe una AI anche al tubo della doccia. 2) Il timido: utente dell’AI freddino.

3) Il fortemente scettico: quello che liquida “tutte scemità”.

A che punto siamo? E’ un buon punto, ma potrebbe andare molto meglio: l’AI in questa sua seconda fase, quella della diffusione massiccia, è ancora una macchina imprecisa, ha le allucinazioni come all’inizio e non riesce a fare il lavoro grosso degli umani senza sorveglianza e correzioni. Al debutto ci avevano promesso il miracolo, ma il miracolo non è ancora arrivato. L’intelligenza di laboratorio paga ancora pegno a quella di cervello perché non ha sufficiente grado di compiutezza: non può eseguire una ricerca giurisprudenziale e risolvermi un problema, per esempio, perché nello zelo del buon servitore inventa le leggi e le sentenze che mi servono per aiutarmi meglio e dirmi che ho ragione.

Siamo nel mezzo, insomma. E’ questo un momento preciso della storia dei transistor, e azzarderei quasi il migliore. L’AI non sostituisce e non minaccia. Fa da maggiordomo, da buon apprendista, segretario, produttore di email e relazioni, di compitini fessi e laboriosi. Ultimamente fa soprattutto lo psicologo. Una buona domanda è se dagli sviluppatori questa svolta intima – gente che parla tutti i giorni col chip di rame per capire le cose della vita e farsi curare il malumore – era attesa come conseguenza tra le possibili o completamente imprevista. Ma non divaghiamo.

La rivoluzione è qui, sotto i nostri piedi. La rivoluzione ultimo modello ha una caratteristica nuova: scorre sottoterra e non arriva dall’alto. Non cade nessun calcinaccio, i destinatari non se ne accorgono.

Nel settembre del 1939, l’Europa entrò in una strana parentesi storica passata alla storia come la guerra finta. Gran Bretagna e Francia avevano dichiarato guerra alla Germania dopo l’invasione della Polonia, ma nei mesi successivi accadde ben poco, se si escludono scontri navali sporadici. Bisognò aspettare la primavera successiva, con l’offensiva lampo della blitzkrieg, perché la guerra cominciasse davvero a sembrare una guerra. La storia è piena di questi momenti sospesi, quando si capisce che qualcosa è successo, ma non si sente ancora che sia successo davvero. Uno di questi è la rivoluzione dell’intelligenza artificiale: è in corso, ma si manifesta solo in punti isolati e strani, si legge sul Washington Post.

Perché questo sarà considerato come il momento dorato della convivenza col robot? Perché è la sottrazione salvifica dalle nostre vite di piccole inenarrabili scocciature. E’ una manna utilissima, riassumibile in: “Non lo devo più fare”. Molti lavori sono identici al mio: gran parte è comunicazione telematica. E vuol dire passare la vita a mandare email, dio ci salvi dalle mail ai clienti: non dover scrivere le venti righe ferme e persuasive. Non dover trovare la sfumatura adatta per scoraggiare un’ostinazione quando è sicuro che si perde. Le proposte. I preventivi, i paragrafi conoscitivi. Da quando non ci telefoniamo più – sono dieci anni ormai – c’è piombata addosso la vita scritta, e la vita scritta logora, snerva, rovina le giornate. E allora abbiamo trovato chi comunica di prassi al posto nostro, meglio di noi. L’AI scrive misurata, semplice, comprensibile. Con una gentilezza regale, pare una una bilancia da farmacista per le parole. E’ come avere un negoziatore in tasca.

Siamo appena entrati nell’èra della grande delega. Abbiamo cominciato a cedere le nostre funzioni più scomode. E per favore non affliggiamoci, non ci inventiamo guai che non esistono, e cioè un futuro da alienati che non sanno confrontarsi. E’ solo un’ottimizzazione. Mai più buttare interi quarti d’ora per trovare la formula di tono, il giro di frase che trasforma una richiesta urgente in una supplica dignitosa. Per la prima volta nella storia, c’è una soluzione ai compiti sgraditi quasi gratis. La fatica della comunicazione protocollare, quei sassi di Sisifo nelle scarpe ce li possiamo togliere. La complessità inutile del quotidiano – per ora solo quella – viene appaltata all’intelligenza artificiale. E’ l’outsourcing della pazienza. I noi di ieri – sommersi dalle email questuanti, o con le armi spuntate davanti alla petulanza altrui – mi sembrano gli schiavi d’Egitto. Che liberazione.

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