La grande bolla dell’intelligenza artificiale

In Simulacri digitali (Add Editore, 248 pagine, 20 euro), Andrea Daniele Signorelli analizza con lucidità e spirito critico il modo in cui le tecnologie stanno ridefinendo i confini tra reale e virtuale. Con uno strumento potente e antichissimo: la narrazione, che dà forma al presente e indirizza il nostro futuro. Le leve del marketing, dello storytelling e della finanza vengono impiegate per creare un’illusione di avvenire, funzionale a trasformare il reale secondo logiche politiche, economiche e speculative.
Nel volume, Signorelli si interroga sugli scenari che stiamo attraversando e su come la loro stessa interpretazione sia generata, e al tempo stesso distorta, dalle tecnologie con cui interagiamo. È il caso, specie negli ultimi tempi, dell’intelligenza artificiale, cui è dedicato questo breve estratto del libro.
Negli ultimi anni il mondo delle nuove tecnologie è stato costellato da una lunga serie di momenti di euforia, che hanno spesso generato enormi spostamenti di denaro prima di sgonfiarsi e in alcuni casi sparire senza lasciare traccia. La fine di questi cicli ha in alcuni casi travolto delle innovazioni promettenti ma ancora troppo acerbe per soddisfare le aspettative, finendo paradossalmente per ostacolare, invece che supportare, il loro sviluppo. Siamo sicuri che il caso dell’intelligenza artificiale – una tecnologia che già da una decina d’anni abbondanti sta cambiando, nel bene o nel male, le nostre vite – sia così diverso?
Alcune delle più promettenti startup del settore stanno effettivamente affrontando parecchie difficoltà. È il caso, per esempio, di OpenAI, che si prevede perderà nel 2016 oltre 14 miliardi di dollari senza che ancora sia stato individuato un modello di business sostenibile. Situazione simile, anche se più in piccolo, per Stability AI: nel primo trimestre 2024, la società che produce il sistema di creazione immagini Stable Diffusion ha fatto segnare perdite per 30 milioni di dollari (a fronte di soli 5 milioni di ricavi). Una situazione che ha portato alle dimissioni del ceo Emad Mostaque e al licenziamento del 10 per cento dei dipendenti.
Se davvero l’intelligenza artificiale sta affrontando i vari stadi di una bolla, allora potremmo essere alla conclusione della fase dell’euforia, che nella classica suddivisione teorizzata dall’economista Hyman P. Minsky precede quella della “presa di profitto”, quando i più scaltri tra gli investitori si rendono conto la crescita è ormai agli sgoccioli e passano all’incasso (l’ultima fase è quella del panico, quando tutti vendono al ribasso e gli ultimi arrivati rimangono con il cerino in mano).
Ma quella dell’intelligenza artificiale è davvero una bolla? Possiamo davvero paragonare la tecnologia più trasformativa del nostro tempo – che dovrebbe addirittura dare vita a una nuova rivoluzione industriale – alle false promesse del metaverso o a un’innovazione intrinsecamente speculativa come il web3 basato su criptovalute?
Sul tema, gli esperti sono divisi: in un post del marzo scorso, Jeremy Grantham (cofondatore del fondo d’investimento GMO e celebre per aver previsto sia la bolla delle dot-com sia quella immobiliare del 2008) ha descritto l’intelligenza artificiale come “una bolla all’interno di un’altra bolla”. Secondo Grantham, l’avvento di ChatGPT ha infatti invertito la spirale discendente che i mercati avevano intrapreso dopo l’euforia finanziaria degli anni del Covid, dando vita per l’appunto a una “bolla dentro la bolla” che “non potrà che iniziare a sgonfiarsi”.
Una posizione diametralmente opposta è quella invece espressa da Jamie Dimon, ceo di JPMorgan Chase che, parlando con la CNBC, ha affermato: “Quando abbiamo vissuto la prima bolla delle dot-com fu a causa dell’eccessivo hype generato. Ma l’intelligenza artificiale non è hype, l’intelligenza artificiale è una cosa vera”.
Questa affermazione presenta però almeno due punti deboli. Prima di tutto, anche le dot-com erano reali. Eccome se lo erano. Dalle ceneri di quella bolla finanziaria sono emersi Amazon, Google e tantissimi altri colossi della Silicon Valley, mentre internet e il web (che erano al centro di quell’ondata speculativa) hanno trasformato il mondo davanti ai nostri occhi, contribuendo tra l’altro a rendere possibile la stessa intelligenza artificiale (fornendo i dati con cui questi sistemi vengono addestrati).
Nonostante le sue enormi e concrete potenzialità, internet è comunque stata protagonista di un’immensa bolla speculativa, a causa delle aspettative eccessive, del terrore di non salire sul treno in corsa e di una tecnologia ancora non sufficientemente matura.
Vi ricorda qualcosa? Anche i sistemi di intelligenza artificiale generativa stanno vivendo una situazione simile. Dopo averci presentato ChatGPT e i suoi fratelli come degli onniscienti oracoli in grado di rendere obsoleta l’intera specie umana, oggi ci troviamo a fare i conti con dei chatbot che commettono un’infinità di errori e con strumenti di generazione immagini che remixano in maniera spesso grossolana le immagini contenute nel dataset con cui sono stati addestrati (a meno che a guidarli non siano professionisti o creativi particolarmente esperti).
Per quanto possano aiutarci a scrivere email, a trasformare un articolo in un post per Linkedin, a modificare qualche immagine, a organizzare la giornata o a creare una presentazione in Powerpoint, siamo sicuri che questi sistemi siano davvero in grado di rivoluzionare l’economia?
Un’altra presunta differenza tra la bolla delle dot-com e le aspettative riposte oggi nell’intelligenza artificiale generativa è che le startup dell’epoca – che avevano nomi come Pets.com, Priceline, eToys e che fallirono tutte in pochi mesi – avessero “fondamenta economiche traballanti”. A pensare che la situazione, oggi, non sia in realtà così dissimile è Matt Cohen, fondatore di Ripple Ventures che, parlando con Pitchbook, ha spiegato: “C’è un’enorme frenesia e probabilmente sono stati dati finanziamenti a tante persone che non avrebbero dovuto riceverne. Adesso, alle startup chiedo soltanto di mostrarmi che cosa le differenzia dai concorrenti e se stiano usando sistemi loro o progettati da altri. Ora come ora, il mercato è completamente saturo”.
I recenti e terribili flop dello Humane AI Pin e del Rabbit R1, due dispositivi che ambivano a sfruttare l’intelligenza artificiale per sostituire gli smartphone con un assistente tuttofare, rappresentano probabilmente un altro segnale da tenere in considerazione; così come la difficoltà a generare ritorni economici significativi anche di note realtà del settore, come la StabilityAI, PerplexityAI e anche OpenAI, che già nel 2024 ha ammassato talmente tante perdite da far temere un’imminente bancarotta.
Per quanto alcune aspettative possano essere esagerate, non ci sono dubbi che l’intelligenza artificiale (non solo e non soprattutto quella generativa) sia una tecnologia in grado di trasformare il mondo, e che in parte l’ha già trasformato. Come insegna la storia delle dot-com, ciò non significa però che non possa attraversare una bolla speculativa. Anzi: per certi versi, questo sembra essere un rito di passaggio anche per le tecnologie realmente rivoluzionarie.
Tutto questo non significa però che l’intelligenza artificiale sia immune alle perverse dinamiche che abbiamo fin qui raccontato relativamente a web3, metaverso, auto autonome ecc. e che non ci siano attori che creano narrazioni completamente scollegate dalla realtà allo scopo di attirare a sé quelle società che sperano di poter cavalcare, o legittimamente sfruttare, le promesse magnifiche potenzialità di queste nuove tecnologie.
Secondo i dati riportati dal New York Times, la società di consulenza Boston Consulting Group ha ricavato nel 2024 il 20% del proprio fatturato tramite servizi legati all’intelligenza artificiale (rispetto allo 0% di due anni prima). IBM Consulting si è invece assicurata oltre un miliardo di dollari di ricavi grazie alle consulenze sui sistemi di intelligenza artificiale. Accenture è arrivata a 300 milioni di dollari nel 2023, KPMG International ha raggiunto quota 650 milioni di dollari nel primo semestre 2024 e McKinsey prevede che sempre nel 2024 otterrà il 40% del suo fatturato sempre dall’intelligenza artificiale generativa.
Come fanno le società di consulenza a garantirsi introiti di questo livello per una tecnologia che – nell’ultima versione generativa – non ha finora generato un indotto così significativo? Per capirlo, bisogna probabilmente partire dalla strategia operativa di parecchie di queste società di consulenza e di analisi di mercato. Una strategia che potremmo riassumere così: prima di tutto, vengono studiate le potenzialità di una tecnologia circondata da particolare hype mediatico, poi vengono prodotti dei report in cui se ne magnificano, in maniera spesso inverosimile, le potenzialità trasformative a livello aziendale e il loro impatto economico. E infine si offrono costosissimi servizi di consulenza alle aziende che vogliono capire come sfruttare al meglio le potenzialità che sono state narrate in primo luogo dagli stessi consulenti.
Il caso più recente, per l’appunto, è quello dell’intelligenza artificiale generativa, che entro il 2032 darà vita a un mercato dal valore di 167 miliardi di dollari (Future Market Insight). O forse arriverà a 266 miliardi di dollari, come sostiene Dimension Market Research? E se avesse ragione Fortune Business Insight, che stima il valore di questo mercato nel 2032 a 970 miliardi? E perché non i 1.300 miliardi di Bloomberg Intelligence?
Chi offre di più? Il solo fatto che le stime delle diverse società di analisi e consulenza abbiano differenze così macroscopiche la dice lunga sulla loro affidabilità. Così come destano parecchie perplessità le stime relative al valore aggiunto apportato a livello mondiale da una tecnologia che, nella sua versione “generativa”, sta ancora muovendo i primi passi.
Il meccanismo è sempre lo stesso: sfruttare l’hype che circonda un’innovazione tecnologica per dare vita a dei report che ne magnificano le incredibili potenzialità, per poi guadagnare spiegando alle aziende in che modo adottare una tecnologia di cui magari hanno bisogno o magari no. Che magari ha enormi potenzialità o magari no. Che magari cambierà il mondo e magari (quasi sempre) no.
La Repubblica