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Il portavoce di Putin lavora da remoto

Il portavoce di Putin lavora da remoto

C'è chi parla per ignoranza, chi per vanità e chi per fanatismo. Il generale Agostinho Costa è riuscito, con una lodevole dedizione al nonsenso, a riunire tutte e tre le categorie in un'unica uniforme inamidata. È un raro caso di lealtà vocale al Cremlino con accento beato, una sorta di "Russia Today" in versione Viva o Gordo.

Un generale dell'esercito portoghese che, pur non sapendo cosa fosse, trovò la sua vocazione nel mettere a dura prova la pazienza dei telespettatori. Sempre pronto a un'altra apparizione televisiva, anche solo per spiegare che la colpa della guerra è di chi non si lascia invadere educatamente, appare immancabilmente con l'aria tronfia di chi è appena stato promosso a maresciallo onorario del Donbass e con quel luccichio negli occhi tipico di chi ha imparato a memoria gli editoriali della Pravda del 1983.

La televisione portoghese, in un bizzarro feticismo necro-sovietico, continua a farlo sedere sulle sedie dei commentatori come se la sua opinione aggiungesse qualcosa di più del semplice imbarazzo, degli sbadigli e dell'occasionale "sotor" sibilato solennemente. Agostinho Costa è l'inviato speciale di Realidade Paralela e il corrispondente non ufficiale del Cremlino a Lisbona. Tra due "sotoras" e tre ammiccamenti complici al pensiero putiniano, ci evangelizza con l'entusiasmo di una lampada a olio sui pericoli di resistere a un'invasione.

Questa settimana, ad esempio, quando perfino gli analisti più sobriamente razionali hanno riconosciuto l'audacia e la precisione chirurgica dell'attacco ucraino all'aviazione strategica russa, un'operazione che ha distrutto velivoli con costi di manutenzione superiori al bilancio del Servizio sanitario nazionale, il generale Costa è apparso con l'espressione triste di chi ha visto cadere l'ennesima icona dell'URSS.

Ha assicurato, con la gravità di un sacrestano sorpreso a bere vino a messa, che il vero problema è "l'escalation". Perché, a quanto pare, bombardare una base militare russa è più pericoloso che rapire bambini ucraini e "dobbiamo capire" che "stiamo giocando col fuoco, sotora".

Come se la bizzarra analisi non bastasse, il generale ebbe ancora il tempo di offrire ai portoghesi un momento indimenticabile di commento geopolitico in un linguaggio contorto: Beh, signore, dobbiamo capire... che, in effetti... questo potrebbe portare a conseguenze... asili, hmm... a Kiev, capisce? No, signor Generale, non capiamo altro che la sfacciataggine di chi osa verbalizzare un simile linguaggio.

In un Paese con un briciolo di decenza, l'espressione "asili nido a Kiev" pronunciata con tono di minaccia passivo-aggressiva avrebbe meritato l'immediato licenziamento dell'autore, usata per infangare le Forze Armate e per elogiare, con un luccichio nei denti, le truppe russe alimentate da vodka e oscenità. Ma in Portogallo, Agostinho Costa è trattato come una sorta di stupido oracolo del Donbass, a cui dobbiamo rispetto per il semplice fatto che un tempo ha indossato un'uniforme e ha imparato a dire "geopolitica" senza strozzarsi, anche se non sempre.

La sua logica è un manuale sovietico rattoppato con il nastro adesivo. Se la Russia bombarda, è una "reazione". Se l'Ucraina risponde, è "terrorismo". Se Putin invade, è una "strategia". Se Zelensky resiste, è una "provocazione". Il tutto servito con l'intonazione di un pappagallo impettito, che si agita ogni volta che un altro partecipante al panel osa contraddire la narrazione importata dall'Est. È allora che conosciamo il vero Agostinho Costa: irritato, apoplettico, truculento, balbuziente, paternalistico, un mix tra il maresciallo Žukov e un taverniere di Sabugal, ma senza il carisma del primo o l'autenticità del secondo.

Non mancano episodi che farebbero arrossire qualsiasi produttore televisivo con due neuroni e mezzo: quando ha assicurato che «la Crimea non è mai stata veramente ucraina» (una perla di geopolitica reperibile solo nei manuali sovietici del 1975), o quando ha affermato, con aria seria, che «la Russia ha reagito solo alle provocazioni della NATO», come a giustificare una rapina perché le porte della banca erano aperte.

Di fronte ai crimini di guerra documentati a Bucha, Costa ha avuto l'audacia di chiedere "considerazione nell'analisi" e ha suggerito che "molto di ciò che vediamo potrebbe essere una messa in scena". Messa in scena, va notato, detto con lo stesso tono di chi dubita dell'esistenza di Giove, perché non l'ha visto con i propri occhi.

Il generale Costa non è solo di parte. È un triste sintomo. Un prodotto del mix letale di ignoranza letteraria e venerazione post-sovietica per la propaganda russa. Per lui, l'integrità territoriale dell'Ucraina è un dettaglio irrilevante, mentre la sensibilità emotiva del Cremlino merita un trattamento diplomatico e sedute di aromaterapia.

Ci vogliono talento e coraggio per assistere alla distruzione dei bombardieri strategici russi sul suolo russo e reagire con il rammarico di chi ha perso la finale dei Mondiali. Per Agostinho Costa, l'errore dell'Ucraina è rifiutarsi di morire in silenzio, e l'errore dell'Occidente è credere che ci siano ancora parti giuste in una guerra.

Il nostro problema, però, è dover sopportare questa videocassetta VHS gracchiante e balbettante, in cui il coraggio degli ucraini viene definito "nazismo" e dove le parole "NATO", "provocazione" e "sotor" vengono usate in proporzioni tutt'altro che omeopatiche.

Finché questo generale da poltrona continuerà a essere promosso come un “esperto”, saremo condannati a vedere la guerra attraverso la lente sporca del Cremlino, secondo cui distruggere i bombardieri è una provocazione pericolosa, ma usarli per radere al suolo le città è semplicemente una “dinamica strategica”.

observador

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